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La politica monetaria in un ciclo insolito: i rischi, il percorso e i costi

Intervento introduttivo di Christine Lagarde, Presidente della BCE, alla cerimonia di apertura dell’ECB Forum on Central Banking, Sintra, Portogallo

Sintra, 1 luglio 2024

Vorrei innanzitutto darvi il benvenuto a questa edizione dell’ECB Forum, dal titolo “La politica monetaria in un’epoca di trasformazioni”. Ci attende un denso programma di lavoro, mediante il quale esploreremo i cambiamenti che si stanno verificando.

Pur essendo sostanzialmente tutti d’accordo sul fatto che l’economia sta attraversando cambiamenti profondi, immagino che vi siano opinioni divergenti su quale ne sarà l’esito.

La mancanza di chiarezza costituisce una sfida significativa per i responsabili delle politiche, che devono cercare al tempo stesso di comprendere le trasformazioni in atto e tenerne conto nel guidare l’economia.

Molte delle sfide di politica monetaria degli ultimi anni hanno infatti riguardato la stabilizzazione dell’inflazione in un contesto di fondamentale incertezza sull’economia.

Siamo però riusciti a navigare in questa incertezza, compiendo molti progressi nella lotta all’inflazione.

A ottobre 2022 l’inflazione ha registrato un picco del 10,6%. A settembre 2023, ultima volta in cui abbiamo innalzato i tassi, era diminuita di oltre la metà, al 5,2%. E poi dopo nove mesi di tassi di interesse invariati, abbiamo visto di nuovo l’inflazione dimezzarsi al 2,6%, decidendo pertanto di ridurre i tassi per la prima volta a giugno.

Non abbiamo ancora portato a termine il nostro compito e dobbiamo rimanere vigili, ma questi progressi ci consentono di guardare indietro e riflettere sul percorso che abbiamo intrapreso.

Nel mio intervento di questa sera vorrei soffermarmi su tre caratteristiche specifiche che hanno definito l’attuale ciclo di politica monetaria: i rischi, il percorso e i costi[1].

I rischi

Inizierò dai rischi.

In un ciclo tipico, in presenza di oscillazioni determinate da shock moderati e di breve durata, le aspettative di inflazione non sono di norma a rischio. I mandati di stabilità dei prezzi e le funzioni di reazione delle banche centrali assicurano la certezza nel conseguimento dell’obiettivo di inflazione.

A fronte di shock tipici dal lato della domanda, le banche centrali raggiungono il proprio obiettivo stabilizzando la domanda in prossimità del prodotto potenziale. Nel caso di shock dal lato dell’offerta, le banche centrali possono in linea di principio “guardare oltre” tali shock, poiché solitamente non lasciano segni duraturi sull’inflazione.

Tuttavia, questo rischio ridotto per le aspettative di inflazione si ha soltanto quando gli shock si rivelano moderati e di breve durata. In situazioni in cui vi è il rischio che gli shock diventino più ampi e persistenti, un disancoraggio delle aspettative di inflazione può verificarsi indipendentemente dal fatto che gli shock siano determinati dalla domanda o dall’offerta.

Le banche centrali devono quindi reagire con forza per evitare che un’inflazione superiore all’obiettivo si radichi nell’economia.

Questo è stato l’insegnamento tratto dagli anni settanta, quando una serie di shock dal lato dell’offerta causati dall’aumento dei prezzi del petrolio si è trasformata in uno shock inflazionistico duraturo. E a seguito dell’ambiguità con cui era percepita allora la volontà delle banche centrali di ridurre l’inflazione, i cittadini avevano rivisto le proprie aspettative sull’inflazione a medio termine.

I vari studi sull’attuale episodio di inflazione giungono a conclusioni diverse in merito alla sua origine. L’analisi della BCE rileva che, in corrispondenza del picco di inflazione, gli shock dal lato dell’offerta hanno avuto un’importanza tre volte superiore a quelli dal lato della domanda nello spiegare lo scostamento dell’inflazione dalla sua media[2]. Altri studi pongono invece maggiore enfasi sugli shock dal lato della domanda[3].

Ma tale distinzione tra lato della domanda e lato dell’offerta, per quanto pertinente, non è stata il fattore più importante nel ciclo attuale.

Oltre che sull’origine degli shock, abbiamo dovuto basare le nostre decisioni sulla loro entità e persistenza, in quanto queste erano tali da rappresentare un rischio reale per le aspettative di inflazione.

Due elementi avrebbero potuto creare terreno fertile per la perdita di fiducia nell’àncora monetaria da parte dei cittadini.

In primo luogo, gli shock erano sufficientemente ampi da indurre molte famiglie a spostare la loro attenzione sull’inflazione. All’inizio del 2023 oltre il 60% degli intervistati nell’ambito della nostra indagine sulle aspettative dei consumatori ha dichiarato di prestare maggiore attenzione all’inflazione rispetto al passato[4].

In secondo luogo, l’impatto inflazionistico degli shock rischiava di assumere una persistenza endogena, principalmente a causa dello scaglionamento del processo di contrattazione salariale nell’area dell’euro. Sebbene vi siano ampie differenze tra paesi, la durata media dei contratti salariali è di due anni, il che garantisce di fatto un processo prolungato di “recupero” dell’inflazione passata[5].

Avevamo rilevato alcuni segnali di una maggiore vulnerabilità dell’ancoraggio delle aspettative di inflazione, in particolare attraverso l’ispessimento della “coda destra” della distribuzione. Nell’ottobre 2022 circa quattro consumatori su dieci si attendevano un’inflazione a medio termine pari o superiore al 5% e i previsori professionali assegnavano una probabilità del 30% a valori pari o superiori al 3% nei due anni successivi[6].

La politica monetaria doveva quindi inviare un segnale forte per comunicare che scostamenti permanenti dall’obiettivo di inflazione non sarebbero stati tollerati. Abbiamo pertanto sottolineato con vigore la nostra determinazione ad assicurare un ritorno “tempestivo” all’obiettivo. Il nostro intento era comunicare l’impegno ad assicurare che il periodo di inflazione elevata sarebbe stato limitato e segnalare l’urgenza della situazione.

Il percorso

Ma in che modo la politica monetaria àncora le aspettative di inflazione? Non si tratta solo di indicare la destinazione, ma anche di definire la giusta traiettoria dei tassi per raggiungerla.

Giungo così alla seconda caratteristica distintiva di questo ciclo: il percorso dei tassi.

Sin dall’inizio era chiaro che la semplice comunicazione del nostro impegno a raggiungere l’obiettivo non sarebbe bastata. L’analisi della BCE mostra che, se non fossimo intervenuti affatto, il rischio di disancoraggio sarebbe stato superiore al 30% nel 2023 e nel 2024[7].

Anche un’azione di politica monetaria moderata sarebbe stata probabilmente insufficiente. Ad esempio, se i tassi si fossero arrestati al 2%, il rischio di disancoraggio si sarebbe comunque collocato attorno al 24%.

Pertanto, quando abbiamo iniziato ad aumentare i tassi, sapevamo che eravamo lontani dal livello necessario. Il fattore più importante era dunque chiudere il divario il più rapidamente possibile. Per questo motivo il profilo di rialzo dei tassi all’inizio è stato ripido in termini storici, con incrementi di 75 e 50 punti base per i primi sei interventi.

Tuttavia, man mano che i tassi di riferimento si avvicinavano a un territorio restrittivo, la sfida si è spostata dalla rapidità dell’azione alla calibrazione precisa del percorso. In particolare, abbiamo dovuto stabilire un percorso dei tassi che consentisse un ritorno dell’inflazione al 2% sia con “tempestività” che con un elevato grado di certezza.

Questo ci imponeva anche di adottare un approccio diverso dal passato.

Di fronte a molteplici shock di grande entità, vi era notevole incertezza su come interpretare e inquadrare le informazioni provenienti dall’economia.

Da un lato, sarebbe stato rischioso affidarsi eccessivamente a modelli basati su dati storici, che di fatto potevano non essere più validi. Non potevamo sapere, ad esempio, se i cambiamenti delle preferenze, i rincari dell’energia e la geopolitica avessero modificato la struttura dell’economia.

D’altro lato, un ricorso eccessivo ai dati correnti avrebbe potuto essere altrettanto fuorviante se avessero rivelato scarse capacità predittive nel medio periodo. Visto che gli shock si stavano trasmettendo all’economia, i dati correnti avrebbero anche potuto riflettere l’impatto ritardato più che le effettive tendenze dell’inflazione.

Abbiamo pertanto costruito un assetto volto a tutelarci da tale incertezza, affiancando le proiezioni ai dati correnti sull’inflazione di fondo e sulla trasmissione monetaria. L’obiettivo era quello di combinare varie informazioni sulle prospettive di medio periodo in un’unica valutazione che potesse essere aggiornata rapidamente.

Le nostre previsioni fornivano una valutazione completa dell’inflazione futura, nell’ipotesi di parametri di fondo dell’economia stabili. Allo stesso tempo, l’analisi dei dati correnti ci consentiva di individuare le componenti persistenti dell’inflazione e di tenere conto dei cambiamenti strutturali che avrebbero potuto non essere rilevati nei nostri modelli di previsione[8].

In questa funzione di reazione, la nostra valutazione delle prospettive di inflazione è guidata dalle nostre proiezioni, senza esservi però limitata. Utilizziamo varie misure per stimare l’inflazione di fondo. E quando valutiamo l’intensità della politica monetaria, consideriamo le banche, i mercati dei capitali e l’economia reale.

Di conseguenza, sebbene il flusso di nuove informazioni contribuisca al nostro scenario sull’inflazione a medio termine e lo migliori costantemente, non siamo condizionati da alcun dato specifico. La dipendenza dai dati non significa dipendenza da dati specifici.

Tale assetto ci ha aiutato a orientarci nelle fasi di “inasprimento” e di “mantenimento” del ciclo di politica monetaria e ci ha dato la certezza necessaria per procedere a una prima riduzione dei tassi in occasione della nostra ultima riunione.

Durante tali fasi abbiamo visto restringersi la “coda destra” della distribuzione delle aspettative di inflazione, il che è coerente con un ritorno tempestivo dell’inflazione all’obiettivo.

I costi

Se, da un lato, il percorso della nostra politica monetaria ha contribuito a domare l’inflazione, dall’altro ha anche frenato la crescita economica. I tassi di interesse sono aumentati costantemente e sono rimasti elevati durante cinque trimestri consecutivi di stagnazione dell’economia.

Tale andamento è inevitabile quando le banche centrali devono affrontare shock che spingono l’inflazione e il prodotto in direzioni opposte. Questa volta, tuttavia, i costi della disinflazione sono stati contenuti rispetto a episodi analoghi del passato.

Ecco quindi la terza peculiarità di questo ciclo.

Data l’entità dello shock inflazionistico, non si può ancora dare per scontato un “atterraggio morbido”. Se esaminiamo i cicli storici dei tassi a partire dal 1970, possiamo osservare che, quando le principali banche centrali hanno innalzato i tassi di interesse in presenza di prezzi dell’energia elevati, in genere i costi per l’economia sono stati piuttosto marcati[9].

Appena il 15% circa degli atterraggi morbidi andati a buon fine in tale periodo (cioè evitando una recessione o un grave deterioramento dell’occupazione) è stato realizzato in seguito a shock sui prezzi dell’energia.

L’attuale ciclo, tuttavia, non ha finora evidenziato gli andamenti osservati in passato.

L’inflazione ha raggiunto un picco molto più elevato che durante i precedenti atterraggi morbidi, ma è scesa anche più rapidamente. La crescita si è mantenuta nell’intervallo dei passati episodi di atterraggio morbido, seppure in prossimità del limite inferiore. E i mercati del lavoro hanno registrato risultati eccezionalmente favorevoli.

L’occupazione è aumentata malgrado il rallentamento del PIL; il numero di occupati è salito di 2,6 milioni di unità dalla fine del 2022. La disoccupazione è ai minimi storici per l’area dell’euro e rientra ampiamente nell’intervallo osservato durante i precedenti atterraggi morbidi nelle principali economie.

La capacità di tenuta dei mercati del lavoro riflette di per sé l’insolita combinazione di shock che hanno colpito l’area dell’euro; la carenza di manodopera induce le imprese a ricorrere maggiormente a strategie di mantenimento degli stessi livelli occupazionali, agevolate da profitti più elevati e salari reali più bassi[10].

Di conseguenza, la consueta propagazione da una crescita più lenta a un aumento dei rischi di disoccupazione e a un calo della domanda non si è verificata nella stessa misura.

Al momento stiamo ancora affrontando una serie di incertezze riguardo all’inflazione futura, in particolare per quanto riguarda l’evoluzione del nesso tra profitti, salari e produttività e la possibilità che l’economia sia colpita da nuovi shock dal lato dell’offerta. Ci occorrerà del tempo per raccogliere dati sufficienti che ci offrano la certezza di esserci lasciati alle spalle i rischi di un’inflazione superiore all’obiettivo.

Il vigore dei mercati del lavoro ci concede tempo per raccogliere nuove informazioni, ma dobbiamo anche essere consapevoli del fatto che le prospettive di crescita rimangono incerte. L’insieme di questi elementi suffraga la nostra determinazione a seguire un approccio guidato dai dati e ad assumere le nostre decisioni di politica monetaria di volta in volta a ogni riunione.

Conclusioni

Le nostre decisioni di politica monetaria ci hanno permesso di mantenere ancorate le aspettative sull’inflazione, che si dovrebbe riportare al 2% nella seconda parte del prossimo anno. Data l’entità dello shock inflazionistico, questo riassorbimento è notevole sotto molti aspetti.

Sebbene milioni di imprese e di lavoratori si siano impegnati individualmente per proteggere i propri profitti e redditi, il nostro obiettivo di inflazione del 2% è rimasto credibile e ha continuato ad ancorare il processo di inflazione.

Ciò attesta la validità degli assetti di politica monetaria che le banche centrali hanno costruito negli ultimi 30 anni, concentrandosi sulla stabilità dei prezzi e sull’indipendenza della banca centrale. Ed è per questo che non esiteremo nell’impegno a riportare l’inflazione al nostro obiettivo per il bene di tutti gli europei.

Come disse Sir Bobby Robson, che fu prima calciatore e poi allenatore, “i primi 90 minuti sono i più importanti”. Anche noi non ci rilasseremo finché non avremo vinto la partita e l’inflazione sarà tornata al 2%.

  1. Per una trattazione complementare dell’evoluzione dei cicli di politica monetaria nell’ultimo secolo in molte economie avanzate e delle differenze dell’attuale ciclo in tali paesi rispetto al passato, cfr. Forbes, K., Ha, J. e Kose, M.A. (2024), “Rate cycles”, articolo presentato all’ECB Forum on Central Banking, Sintra.

  2. Bańbura, M. et al. (2023), “What drives core inflation? The role of supply shocks”, Working Paper Series, n. 2875, BCE.

  3. Giannone, D. e Primiceri, G. (2024), “The drivers of post-pandemic inflation”, articolo presentato all’ECB Forum on Central Banking, Sintra.

  4. D’Acunto, F., Charalambakis, E., Georgarakos, D., Kenny, G., Meyer, J. e Weber, M. (2024), “Household inflation expectations: an overview of recent insights for monetary policy”, Discussion Paper Series, n. 24, BCE.

  5. Górnicka, L. e Koester, G. (eds) (2024), “A forward-looking tracker of negotiated wages in the euro area”, Occasional Paper Series, n. 338, BCE.

  6. BCE (2022), “Inflation perceptions and expectations”, 7 dicembre; e BCE (2022), “The ECB Survey of Professional Forecasters – Fourth quarter of 2022”, ottobre.

  7. Christoffel, K. e Farkas, M. (2024), “Monetary policy and the risks of de-anchoring of inflation expectations”, IMF Working Papers, di prossima pubblicazione.

  8. Lagarde, C. (2024), “Policymaking in a new risk environment”, intervento tenuto in occasione della 30a Conferenza economica di Dubrovnik, 14 giugno.

  9. In base all’analisi della BCE su un campione di 48 cicli di politica monetaria per nove banche centrali con obiettivi espliciti di inflazione nel periodo compreso tra il 1970 e il 2022. Cfr. “Navigating inflation: a historical perspective of monetary policy cycles”, Il Blog della BCE, di prossima pubblicazione.

  10. Arce, O. e Sondermann, D. (2024), “Low for long? Reasons for the recent decline in productivity”, Il Blog della BCE, 6 maggio.

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